Ci sono giorni in cui le distanze fanno davvero paura: sono come un muro altissimo e incredibilmente scivoloso, impossibile da superare. Si pensa che dal nord Italia al sud Italia, o che dall'America alla Cina ci si possa sempre perdere per strada.
Fisicamente, si: è possibile. Ma come può un sentimento, che sia di amore o di amicizia, fermarsi davanti a quel muro con il terrore di scavalcarlo? E vedere in esso "la fine" di un rapporto, la fine o il cambiamento inteso come peggioramento di una situazione? Di una relazione che è stata fino ad allora così speciale, così "vera"?
Io direi che quel "muro" è la paura psicologica di non ritrovarsi più. Davanti a quel muro ci si tuffa nei ricordi del "però quando eravamo vicini (materialmente parlando) eravamo più uniti, più insieme...". Credo che quell'insieme sia il medesimo a 5 o 500 km di distanza. Ovvio che cambia, certo, ma la vita è fatta di cambiamenti:
Se si restasse sempre fermi si camminerebbe sempre sullo stesso "posto", sulla medesima zolla di terra. Bisogna muoversi perché quella zolla sprofonda dopo un po' sotto i nostri piedi.
La vita cambia le destinazioni ma non i sentimenti. Come si potrebbe dire che una madre lontana non è più "vicina" a te? Come si potrebbe dire che gli amici, quelli cari, quelli che hai incontrato anche per poco e che sono dovuti tornare a casa, non restano cari poiché non sono vicini a te?
Le lettere, prima dei cellulari e del web, sono nate con un unico semplice scopo: "scrivere, esternare, parlare...".
A volte è meglio l'amico dall'altra parte del mondo che quello che siede ogni giorno al tuo fianco. Ma questo non siamo noi a stabilirlo. E' il percorso che si fa e che si decide d'intraprendere.
Io non mi sento saggia e nemmeno matura; se poi parliamo d'intelligenza lasciamo perdere... Ma quello che so è che sto ancora cercando di "muovermi" nella mia direzione. Sto imparando. A volte è davvero difficile.
A volte non so nemmeno prendermi cura di me stessa (questo più che a volte)... Ma ci sarà sempre qualcuno che in un modo o nell'altro ti darà una mano.
Sarà sul lavoro, sarà una persona conosciuta in un parco o in un corso che hai frequentato. Ci sarà sempre qualcuno disposto ad ascoltarti.
Ma quello che è fondamentale: è che anche a 50.000 km di distanza "l'importanza" di un rapporto non cambia. A volte basta un "pensiero", un messaggio o uno sfogo per dire "io sono sempre qui".
E' difficile abituarsi, questo è vero, ma l'amicizia è così: s'inseguono le proprie passioni, i propri "amori" e si raccontano, si condividono... In un modo o nell'altro. Che sia in Calabria, che sia a Milano, che sia a Reggio Emilia o in America...
Le migliori rimangono o ritornano sempre
giovedì 24 novembre 2011
venerdì 18 novembre 2011
Le spiegazioni a volte vanno abbandonate
L'età dei "Perché?" è quella che distrugge mentalmente ogni genitore e inizia davvero presto, forse troppo presto... La cosa buona è che a quell'età i "perché" riguardano il vasto mondo "materiale" delle cose o del funzionamento delle cose.
Poi si passa al "Perché nascono i bambini" con annesso "come?"... Fino ad arrivare all'adolescenza e ai suoi drammi esistenziali, dove i come e i perché diventano veri e propri proiettili conficcati nel cuore e nella testa.
Per fortuna ci si esce e si arriva ad un'intermediazione tra dramma e realtà. Forse è la fase in cui sono io. Ma così drammatica, tuttavia, non è.
Prima mi sarei chiesta il perché del "Perché faccio quello che faccio" ma penso di aver capito che a volte le spiegazioni vanno abbandonate o bloccate sul nascere. Concentrarsi sulla razionalità dei fatti, spesso, allontana dalla realizzazione degli stessi fatti...
E, credo, che la realizzazione di "avere l'anima in pace" dopo essersi dati una giusta spiegazione sia solo l'amara consolazione di quello che non si ha potuto (o voluto) fare con il messaggio chiaro che, invece, mandava la passione.
Forse siamo "incasinati" nel cercare di dare un senso corretto a tutto quello che facciamo... Ma se ci fosse a cosa servirebbe il destino?
Ogni tanto di destino ce ne vuole... Ok, non dico di farsi trascinare inconsapevolmente ma, di farsi accompagnare piacevolmente verso le sensazioni che qualcosa può aver suscitato in noi.
Per tutto questo, però, bisogna avere voglia di rischiare e cambiare. Mettersi in gioco penso sia l'azione più irrazionale dell'essere umano perché non sai mai cosa ti può accadere...
Ma se non ci si mette in gioco: se si chiude la strada ai sentimenti e li si accantona... Allora a cosa serve trovare una spiegazione su tutto ciò che vediamo, viviamo e sentiamo? Forse "spiegare" è il passatempo preferito di chi non cede nemmeno un "pochino" al destino, quello oscurato dalla severa "giustizia della ragione".
Poi si passa al "Perché nascono i bambini" con annesso "come?"... Fino ad arrivare all'adolescenza e ai suoi drammi esistenziali, dove i come e i perché diventano veri e propri proiettili conficcati nel cuore e nella testa.
Per fortuna ci si esce e si arriva ad un'intermediazione tra dramma e realtà. Forse è la fase in cui sono io. Ma così drammatica, tuttavia, non è.
Prima mi sarei chiesta il perché del "Perché faccio quello che faccio" ma penso di aver capito che a volte le spiegazioni vanno abbandonate o bloccate sul nascere. Concentrarsi sulla razionalità dei fatti, spesso, allontana dalla realizzazione degli stessi fatti...
E, credo, che la realizzazione di "avere l'anima in pace" dopo essersi dati una giusta spiegazione sia solo l'amara consolazione di quello che non si ha potuto (o voluto) fare con il messaggio chiaro che, invece, mandava la passione.
Forse siamo "incasinati" nel cercare di dare un senso corretto a tutto quello che facciamo... Ma se ci fosse a cosa servirebbe il destino?
Ogni tanto di destino ce ne vuole... Ok, non dico di farsi trascinare inconsapevolmente ma, di farsi accompagnare piacevolmente verso le sensazioni che qualcosa può aver suscitato in noi.
Per tutto questo, però, bisogna avere voglia di rischiare e cambiare. Mettersi in gioco penso sia l'azione più irrazionale dell'essere umano perché non sai mai cosa ti può accadere...
Ma se non ci si mette in gioco: se si chiude la strada ai sentimenti e li si accantona... Allora a cosa serve trovare una spiegazione su tutto ciò che vediamo, viviamo e sentiamo? Forse "spiegare" è il passatempo preferito di chi non cede nemmeno un "pochino" al destino, quello oscurato dalla severa "giustizia della ragione".
lunedì 14 novembre 2011
The Prison Head
Non lo so. Sarà che ho riguardato "Mangia. Prega. Ama" o, molto più probabile: sarà che sono in casa da tipo 10 giorni e sono irrimediabilmente depressa.
Buona la prima o la seconda? Credo entrambe: troppi film mielosi senza significato e troppa "casa", casa, casa e casa...
La verità è che ti passa la voglia di far tutto e arrivi a sera in trepidazione per nulla visto che hai tutte le energie accumulate durante il giorno.
Mi chiedo ma come cazzo facevano tutti i "colti" o i pittori, i grandi maestri italiani, che passavano le loro giornate solamente a scrivere, studiare, scrivere, dipingere e studiare tutto il giorno?
Alla fine capisco che arrivi al decimo giorno e nemmeno hai voglia di uscire perché ti sei auto-rinchiuso nei tuoi pensieri. E quelli, quando arrivano riescono a "sgretolarti" ogni "cosa bella" che avevi in mente.
Dieci giorni di pura auto-commiserazione e chiacchiere... Mal di stomaco, voglia di scomparire e domande.. Tante domande.. Tipo? Ma cos'è il destino? E qual'è il mio?
Non riesco ad aspettare. E' questo il mio problema. Non ho pazienza e voglio sapere sempre tutto in anticipo.
Non so.. Magari qualcuno potrebbe prestarmi un po' di sobrietà, pazienza e ottimismo...
lunedì 7 novembre 2011
Le priorità?... A volte cambiano.
Guarda il futuro. Cosa vedi? Guardo il futuro e cosa vedo?... Un'ampia distesa piena di sogni e poche certezze perché infondo le priorità sono dei desideri che speriamo di costruire. E, che, per non illuderci teniamo ben lontani dalla "tela bianca" aspettando il momento giusto per imbrattarla di colore, usarla senza pietà... E senza ripensamenti.
Ogni tela equivale ad ogni cambiamento, ogni spostamento che abbiamo trasferito con un pezzo di colore o un segno più evidenziato o meno a seconda della "batosta", della vittoria o della sconfitta. Il disegno finale non è mai lo stesso ma nella testa, forse, ognuno di noi sa quel'è la priorità, quella figura: quel disegno che vuole realmente veder saltare fuori. No?
Le mie prospettive cambiano di giorno in giorno. Se prima pensavo che una donna deve assolutamente condurre un'ottima carriera per essere felice, beh, ora credo che: no, semplicemente no. E non mi riferisco al fatto che ogni italiano parte già svantaggiato, perché ora nemmeno se fossi in una città come Hong Kong penserei a me come futura "donna in carriera".
Ho deciso di rilassarmi, finalmente, cambiando le mie priorità. Beh, si, ci ho messo davvero molto poco... Solamente due anni. Infondo dico: ma se ti piace quello che fai perché dovresti ottenere un qualcosa per il quale poi non saresti in grado di sbatterti? Semplicemente per la comodità di avere i miei spazi, di tornare a casa e farmi i fatti miei.
Egoista? si; sfaticata? Forse, ma mi piace quello che sto facendo, non avrei motivi di lamentarmi, anzi... Mi diverto pure al lavoro.
Solo che non vedo più "nulla" come tempo perso... Cioè se volessi trasferirmi e lavorare come cameriera che cavolo di problema ci sarebbe? Perché bisogna andare solo per "un buon motivo". Perché solo una carriera dev'essere un "buon motivo" e perché l'ambizione è misurata soprattutto sulla carriera?
La cosa più buffa però, e più assolutamente fuori controllo è pensare a come una priorità possa cambiare nel giro di un attimo.
Ogni tela equivale ad ogni cambiamento, ogni spostamento che abbiamo trasferito con un pezzo di colore o un segno più evidenziato o meno a seconda della "batosta", della vittoria o della sconfitta. Il disegno finale non è mai lo stesso ma nella testa, forse, ognuno di noi sa quel'è la priorità, quella figura: quel disegno che vuole realmente veder saltare fuori. No?
Le mie prospettive cambiano di giorno in giorno. Se prima pensavo che una donna deve assolutamente condurre un'ottima carriera per essere felice, beh, ora credo che: no, semplicemente no. E non mi riferisco al fatto che ogni italiano parte già svantaggiato, perché ora nemmeno se fossi in una città come Hong Kong penserei a me come futura "donna in carriera".
Ho deciso di rilassarmi, finalmente, cambiando le mie priorità. Beh, si, ci ho messo davvero molto poco... Solamente due anni. Infondo dico: ma se ti piace quello che fai perché dovresti ottenere un qualcosa per il quale poi non saresti in grado di sbatterti? Semplicemente per la comodità di avere i miei spazi, di tornare a casa e farmi i fatti miei.
Egoista? si; sfaticata? Forse, ma mi piace quello che sto facendo, non avrei motivi di lamentarmi, anzi... Mi diverto pure al lavoro.
Solo che non vedo più "nulla" come tempo perso... Cioè se volessi trasferirmi e lavorare come cameriera che cavolo di problema ci sarebbe? Perché bisogna andare solo per "un buon motivo". Perché solo una carriera dev'essere un "buon motivo" e perché l'ambizione è misurata soprattutto sulla carriera?
La cosa più buffa però, e più assolutamente fuori controllo è pensare a come una priorità possa cambiare nel giro di un attimo.
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